A volte, il canto sciamanico non è una vera e propria preghiera articolata con parole e versi come la intendiamo noi.
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Infatti, lo sciamano dialoga con se stesso, con le proprie emozioni, con il Sé Superiore. Gli spiriti non sono altro che emanazioni dei nostri pensieri, i demoni dei nostri travagli interiori.
Un esercizio da sperimentare è proprio imparare a dialogare con il proprio Io interiore e con il Sé Superiore attraverso il canto istintivo.
Chiunque può farlo. Non serve avere una bella voce o l'orecchio per la musica e il ritmo.
Basta lasciarsi andare a emettere suoni che siano in sintonia con quello che proviamo in quel momento preciso.
Di solito il canto parte con note basse e profonde, di gola, per poi salire man mano verso note alte, di testa.
Il ritmo si può ottenere con qualsiasi mezzo, dal battere le mani o i piedi - o entrambi - al tamburo, o percussioni tipo legnetti, maracas o quant'altro produca un ritmo e un suono che ci ispiri a lasciarci andare.
Il canto sciamanico è un canto irrazionale, qualcosa che ci trasporta verso di noi, nel profondo, instaurando un dialogo amorevole.
Provate a celebrarvi. A celebrare con il canto il vostro amore per la vita, la vostra gratitudine, a cantare il Divino che alberga in voi.
Non potete immaginare quanta gioia ne scaturisca, fino alle lacrime.
Il canto sciamanico è un canto di guarigione. Interiore.
Perché chiamarlo preghiera, allora?
Perché La preghiera corretta, come spiega Neal Donald Walsch nel libro Conversazioni con Dio (Sperling & Kupfer), non è mai una preghiera di supplica, ma di ringraziamento. (...)
Perciò, non bisogna mai supplicare. Ma apprezzare.
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