In molti - praticamente tutti - ci affanniamo anni e anni a cercare di raggiungere l'agognata meta della pace interiore, dell'uscita dalla sofferenza.
Electric Buddha 2.0 - Foto dell'autrice |
Il grande paradosso, però, sta nel fatto che in realtà il primo errore che si commette è illudersi che ci sia una via. Che ci sia un percorso da fare. Che ci vogliano anni e anni di impegno.
In realtà, se ci mettiamo anni e anni di impegno, è perché non riusciamo a svegliarci davvero.
Le due vie opposte verso la felicità che l'umanità sceglie, quella interiore e quella esteriore (a seconda delle persone), si fondano entrambe sulla falsa credenza che ci sia qualcosa da conquistare, da raggiungere.
Ma conquistare e raggiungere è un gesto che ci porta fuori di noi. Verso l'idea che esista qualcosa di meglio che ci svegli al di fuori di noi.
Ormai sappiamo, grazie agli insegnamenti di grandi maestri spirituali orientali del passato e al contemporaneo occidentale Eckhart Tolle, che la pace non va ricercata.
Nel momento in cui siamo consapevoli di non essere in pace, osservando questa condizione d'animo senza giudizio e non sforzandoci di trovarla con un moto verso di essa, ecco che la pace la troviamo.
Nessuno può darci la pace. Non è un oggetto.
E' la nostra naturale condizione dell'anima.
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Sentirla nello spazio tra un pensiero e l'altro, lasciando andare la nostra ossessione per la guarigione che presuppone di essere sbagliati, imperfetti.
Scrive Frank Kinslow: Quando ci si ferma, non c'è nulla da fare e nessun posto dove andare. Siamo sollevati da tutti i pesi. Solo allora siamo liberi dall'illusione che il cammino risolverà i nostri problemi.
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