Vecchi libri - Foto dell'autrice |
Mi chiedevo per quale assurda ragione un poeta dovesse per forza essere uno sfigato, e vivere solo di versi e citazioni, quasi fosse incapace di assaporare la vita vera, con tutti i sensi. Come se non sapesse di avere anche un corpo, oltre che una mente (iperattiva e prevalente su tutto il resto).
Eppure, la tradizione romantica ci porta l'esempio di Lord Byron, che attraversava a nuoto il golfo di Lerici ed era fisicamente prestante, nonostante un difetto congenito a un piede; e della vita avventurosa di Shelley, morto in un naufragio in Italia. E che dire, qualche decennio dopo, di Rimbaud, che salpa per l'Africa in cerca di avventura dopo una vita scandalosa? Jack London, tra i vari mestieri, fece anche il pugile.
Eppure, la trappola della mente intellettuale è sempre lì, fa dimenticare al poeta/scrittore/filosofo che non può esserci equilibrio se si è solo mente e niente corpo, ed è inutile disprezzare chi vive questo disequilibrio al contrario, cioè tutto corpo e niente mente. Sono due facce della stessa medaglia.
Grotta Byron, Porto Venere - Foto dell'autrice |
Se non sai cosa significa il coraggio di una sfida nei confronti di un avversario in carne e ossa, come puoi narrare di guerrieri ed eroi?
I cosiddetti intellettuali devono prima di tutto imparare a vivere davvero, a esserci, nel corpo, nel respiro, qui e ora. Allora saranno in grado di narrare qualcosa di veramente autentico: la propria vita sperimentata, e non ispirata da citazioni di esperienze altrui.
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