venerdì 11 luglio 2014

"Aspettare sotto il pero"

A volte, soprattutto in questo periodo di crisi economica, in cui è diventato più difficile trovare lavoro, le persone disoccupate si sentono dire che non bisogna aspettare sotto il pero che il lavoro ideale ci cada dall'alto come, appunto, una pera matura.
Il senso comune dice che per trovare lavoro bisogna darsi da fare.
E' vero, ma come cerchiamo lavoro?

Se lo cerchiamo mossi dalla paura della penuria, di contrarre debiti, di non riuscire a mantenere la famiglia, ecc., quindi in base a una reazione, l'energia che attrarrà il lavoro - o non lo attrarrà affatto - sarà un'energia di paura.

Foto dell'autrice
In genere, chi si affanna a trovare il primo lavoro che capita per paura di restare senza soldi, trova qualcosa che lo scontenta, vuoi per il basso stipendio, o per gli orari massacranti, o magari perché vi è un clima vessatorio. 
Il sentirsi schiavi è, certo, comunque una nostra percezione, ma se prima non guariamo quella parte di noi che si sente schiavo o vittima, e per di più povero, di certo sarà alquanto improbabile attrarre un lavoro soddisfacente sotto tutti i punti di vista.

Bisognerebbe guarire prima ciò che ci fa vivere un sentimento di paura e di povertà. Solo allora saremo pronti per un lavoro che fa davvero per noi, cioè che coincide con le nostre aspirazioni.

Mi si obietterà che non tutti possono permettersi il lusso di stare lì a fare il lavoro su di sé restando disoccupati finché non arriva l'impiego che abbiamo sempre desiderato.
Infatti, penso che la chiave sia non accontentarsi. 
Se per tirare avanti è necessario fare un lavoro che per noi non è il massimo, l'importante è non rassegnarsi a pensare che tanto la vita è dura e che quello è il massimo che possiamo ottenere.

Se nella vita vogliamo vivere davvero secondo dei principi di non schiavitù, possiamo continuare a fare il lavoro su di sé per sciogliere quei blocchi che ci impediscono di vivere come vorremmo, per esempio dei nostri talenti, e accettare che per il momento l'impiego non è il massimo per noi, ma è un trampolino di lancio, non il capolinea definitivo. 

La differenza sostanziale sta tra il non accontentarsi ma accettare la situazione per ciò che è, di modo da trasmutare ogni negatività residua riguardo ad essa, e il rassegnarsi a una vita da schiavi e senza scopo.

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