lunedì 16 dicembre 2013

A proprio agio con noi stessi

Oggi vorrei proporre una breve riflessione che nasce da alcune parole di Eckhart Tolle. 

Nel libro Il Potere di Adesso (Armenia ed.) accenna al fatto che il rumore di fondo della nostra mente e dei nostri pensieri non ci permettano praticamente mai di sentirci a proprio agio con noi stessi.
Questa semplice definizione, a proprio agio con noi stessi, ci dà la misura del fatto che, in effetti, tutte le nostre elaborazioni mentali, i filtri, le memorie, i giudizi, ci impediscono di sentirci a nostro agio non solo con le situazioni esterne. Ma più in profondità dentro di noi.

A pensarci bene, è drammatico!


Autoritratto dell'autrice
In un altro punto del libro, Tolle scrive che spesso ci illudiamo che la soluzione ai nostri problemi di disagio sia imparare ad avere un buon rapporto con noi stessi.
Ma avete davvero bisogno di avere un rapporto con voi stessi? Perché non potete semplicemente essere voi stessi?, scrive.

E qui entra in gioco l'illusione della dualità. Avere un rapporto con noi stessi equivale ad ammettere che ci sentiamo spaccati in due: Io e Me Stesso.
Nello stato di illuminazione, continua l'autore, voi siete voi stessi: voi e voi stessi siete fusi in uno.
Non vi è più un "sé " che dovete proteggere, difendere o alimentare.

venerdì 13 dicembre 2013

Che cos'è l'Eusentimento?

L'Eusentimento è un termine coniato da Frank Kinslow. 
Esso è la prima manifestazione di pienezza dell'Universo, dalla quale scaturisce tutto ciò che esiste, compresa la materia.

Per usare un sinonimo comprensibile a tutti: è l'amore divino che tutto crea.

Foto dell'autrice
Forse Frank Kinslow ha preferito non usare il termine amore per non confonderlo con l'amore fisico, passionale e possessivo, o con l'apprezzamento, che è una forma di amore più superficiale.

Infatti, l'Eusentimento non è un sentimento come gli altri. 
E' qualcosa di più, che li trascende. Perché i comuni sentimenti hanno anche un contrario: amore-odio, pienezza-mancanza, felicità-infelicità, ecc.
Inoltre, esistono sentimenti condizionati: gelosia, rabbia, paura, eccitazione, ecc., perché nascono da condizioni particolari.

L'Eusentimento è incondizionato, immutabile e immune da restrizioni, contraddizioni, condizioni esterne.

In realtà, secondo Kinslow la nostra mente agogna conoscere l'Eusentimento perché esso la calma, la fa tacere. 
L'Eusentimento è quella sensazione che in qualsiasi condizione di vita, anche la più terribile e drammatica, dentro di noi, in un angolino nascosto, ci sia una madre amorevole disposta ad abbracciarci e a dirci che va tutto bene, che non c'è paura né reale minaccia.

In effetti, noi siamo questo Eusentimento perché esso non è altro che il Sé.  E la condizione naturale del Sé è gioia, pace e amore incondizionato e illimitato.

Foto dell'autrice
Come fare, allora, a provare l'Eusentimento?

Tutte le volte che riusciamo a far tacere la mente e a stare dentro noi stessi, in tranquilla osservazione, senza giudizio, per esempio quando si fa meditazione, ecco che ad un certo punto si sente una gioia e una leggerezza invaderci, un qualcosa di così vasto che quasi ci fa male il cuore, perché sentiamo di non poterlo contenere tutto nella nostra limitatezza materiale.

Quella sensazione di infinito amore e libertà ci pervade, e sentiamo a un tratto di non avere più un corpo ma solo consapevolezza pura. 
Ecco. Quello è l'Eusentimento.

Con un po' di pratica, si può portare questo stato dell'essere nelle nostre attività quotidiane.
Diventeremo persone risvegliate in contatto continuo con il Sé.
Diventeremo amore divino.



mercoledì 11 dicembre 2013

Quando la vita si resetta

E' capitato a tutti almeno una volta nella vita di accorgersi di aver fallito i propri obiettivi. Di veder crollare tutte le aspettative dopo aver lavorato sodo per realizzare un sogno.

E poi, capitano quei periodi in cui tutto pare andare storto: si rompe l'auto, arrivano spese improvvise, ci ammaliamo, muore una persona cara, e tutto pare andare di male in peggio.

Ma a volte ho avuto la sensazione che questa ondata di quella che normalmente le persone non sveglie chiamerebbero sfiga, e mancare gli obiettivi che ci eravamo impegnati a raggiungere, sia come un'epurazione che la vita ci porta.

Foto dell'autrice
Nel momento in cui tutto ciò per cui abbiamo lottato duramente collassa nel fallimento, sia a livello esteriore - per esempio lavorativo e sentimentale - sia interiore - quando ci accorgiamo che le tecniche di risveglio che abbiamo a lungo applicato alla nostra vita non hanno funzionato come speravamo - ecco che appare una terza via.

La resa. 

Cioè, smettendo di cercare di cambiare a tutti i costi ciò che a noi non piace nella nostra vita, creando fatica e una forma di resistenza, ecco che si finisce di arrivare proprio al nodo del problema. Non avevamo ancora capito cosa significhi davvero arrendersi. Abbandonarsi a ciò che è.

Fallire su tutti i piani può essere uno dei migliori modi per svegliarsi. E' una tromba di Gerico che suona per far crollare l'illusione che nella lotta verso qualche obiettivo ci sia alla fine una ricompensa. Che saremo più felici quando avremo quella cosa.

Frank Kislow dice una cosa interessante: ci si sveglia non grazie alla lotta per ottenere risultati, ma nonostante la lotta.

Quando ti arrendi alla realtà per ciò che è, trasmuti il dolore in pace. Solo da quella pace può arrivare il vero risveglio.
Perché non c'era nulla di sbagliato, nulla da correggere. Solo da essere vissuto. 

La vita a volte si resetta come un computer per ripartire da zero, con un'energia e una consapevolezza del tutto nuova.

venerdì 6 dicembre 2013

La vera accettazione

Chi è sulla strada del Risveglio sente parlare o legge spesso di accettazione. 
E in molti trovano difficoltoso arrivare alla piena accettazione di una situazione o di un evento.
In effetti, penso personalmente che non ci sia nulla di più difficile.

Che cos'è l'accettazione?
Secondo Eckhart Tolle, che ne parla ampiamente nei suoi libri, è quando si riesce a non creare più negatività da ciò che prima ci faceva stare male.
Foto dell'autrice
Anche l'abbandono ha la stessa capacità di sciogliere i nodi di dolore.

Ma mentre praticando l'abbandono si lascia andare, si torna a fluire, nell'accettazione c'è la piena consapevolezza di un dato fatto come qualcosa che esistendo, non si può negare. Più lo si nega e più ci fa male, in quanto facendo resistenza opponiamo a esso emozioni negative che ci logorano e ci rendono infelici.

L'accettazione non deve diventare un'etichetta che equivale a rassegnazione. Rassegnarsi è indulgere nella propria prigione.
Accettare è prendere atto che una cosa è così com'è, e accogliendo essa per ciò che è, amandola come qualcosa che è comunque parte di noi e della nostra vita, ecco che possiamo trasformarla. 
Con amore e consapevolezza.

E' un esercizio molto difficile che davvero ci mette di fronte alle nostre più strenue resistenze. Magari ci vorrà una vita intera per imparare la vera accettazione. Ma ne sarà valsa la pena.

giovedì 5 dicembre 2013

L'esercizio delle porte

Un esercizio che viene consigliato per renderci conto di quante cose facciamo in modo automatico, pensando ad altro e quindi non in presenza, è quello che viene chiamato delle porte.


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Salvatore Brizzi e tutti gli insegnanti nei corsi di risveglio da lui ispirati lo propongono ai propri allievi. 
Essere consapevoli e presenti ogni volta che si passa sotto a una porta, sia in casa che fuori - naturalmente - e valgono pure le portiere dell'auto.

In realtà, lo scopo dell'esercizio non è solo capire quanto tempo al giorno passiamo a compiere gesti automatici senza badare a ciò che fa la macchina biologica - ovvero il nostro corpo. Ma è anche utile per comprendere quanto sforzo ci mettiamo per individuare i momenti in cui passiamo sotto a una porta.

Non è una gara a chi ne prende di più, ma a quanto impegno ci costa. E' meglio scoprire che su 100 ne abbiamo prese 2 ma eravamo proprio lì, a esserci, dal momento in cui abbiamo pensato Sto passando sotto a una porta a quando lo abbiamo fatto. 
Spesso capita, ahimè, che in quella frazione di tempo perdiamo l'intento. Provare per credere.

Quante cose facciamo in automatico? A tutti sarà capitato di
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guidare e perdersi intere porzioni del viaggio e arrivare a destinazione stupiti. Dove eravamo nel frattempo? Nella mente.

E chi guidava l'auto? Il nostro corpo. Non è agghiacciante? 
Qualcuno stava guidando al posto nostro!

Allora, cominciare a essere presenti facendo piccoli gesti quotidiani disabitua pian piano la macchina biologica a fare le cose al posto nostro. E finalmente, la nostra vita la vivremo davvero. Saremo noi a fare le cose. Non qualcun altro.

mercoledì 4 dicembre 2013

La pubblicità e il bisogno di approvazione

Uno dei modi per vedere quanto il nostro bisogno di approvazione sia inconsapevole oppure dato per scontato, è osservare con attenzione e obiettività la pubblicità.

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Nei messaggi che vengono passati, l'importanza data all'opinione altrui è fondamentale. 
Un reggiseno imbottito farà sbavare gli uomini, che ti considereranno irresistibile, una mutanda modellante per fianchi e pancia farà schiattare le tue amiche d'invidia.

Qualcuno penserà: ma l'invidia è un sentimento negativo.
Ma se qualcuno prova invidia per qualcosa, è perché questa cosa è considerata meglio di ciò che la persona invidiosa possiede. 
Quindi, implicitamente è una forma di approvazione.

Una pubblicità di un deodorante, vertirà sulla tua paura di puzzare, di creare imbarazzo negli altri e quindi sul tuo bisogno di essere approvato/a anche per il tuo odore.

Se bevi una particolare bevanda, sei un fico, e tutti ti adoreranno, e ti inviteranno ai party! Ti faranno sentire importante!
Se scaldi nel microonde una pietanza surgelata reclamizzata, i tuoi figli penseranno che sei una cuoca meravigliosa.

E così via, ce ne sono a migliaia.

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Quando impari a vedere quante cose diamo per scontate, se sei un minimo sveglia/o capisci che dare retta a queste necessità egioche è il gioco migliore per tenerti nell'addormentamento continuo.

Come fa notare il buon vecchio Eckhart Tolle, la pubblicità crea necessità che non esistono promettendo paradisi artificiali e altrettanto effimeri perché solo inseguendo l'illusione della felicità si vendono prodotti.
Un mondo pieno di gente soddisfatta di sé, completamente integrata con il proprio Sé superiore, che bisogno ha di consumare prodotti superflui?

martedì 3 dicembre 2013

Le etichette

Nell'articolo di ieri ho accennato alla nostra tendenza ad etichettarci in base al nostro vissuto.
Considerarci in un certo modo denota il fatto che pensiamo di essere quella cosa lì senza possibilità di scampo. E' una gabbia autoimposta.

Se soltanto fossimo capaci di dirci che oggi ci sentiamo pigri, non che siamo pigri in generale, o che abbiamo commesso qualche sbaglio come tutti e non che tutto ciò che facciamo è un disastro, la nostra vita cambierebbe. In meglio.

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Invece, abbiamo sempre scuse pronte, tipo: sono fatto così, sono sempre stato così, non posso farci nulla, è nella mia natura. A volte anche tutte insieme… Come scrive Wayne Dyer nel libro Le vostre zone erronee.

Queste scuse sono un'etichetta che ci stiamo mettendo da soli per non fare lo sforzo di uscire dai nostri schemi. 
Generalizziamo perché la mente ha bisogno di classificare tutto nell'illusione di comprendere meglio. 

Ma ci tengo a precisare: questo desiderio di migliorarci deve nascere da noi. MAI permettere a qualcuno, tipo il proprio fidanzato o marito, di dirci che dobbiamo cambiare. 
Quando sono gli altri a dirlo, è molto probabile che ci stiano implicitamente dicendo che non ci accettano per ciò che siamo ma vogliono trasformarci nel loro ideale, nella loro proiezione.

La voglia, lo sforzo di migliorarci uscendo dalla etichette autoimposte deve nascere solo da noi. 
Se poniamo attenzione ai nostri pensieri e alle cose che diciamo di noi, possiamo avere un'idea abbastanza corretta fin da subito di quelli etichette ci siamo messi addosso.

A volte ci piace giocarci, ci compiaciamo di recitare sempre la parte della svampita, del tombeur de femme, del coraggioso che ama il rischio, della sapientona, e così via.

Se soltanto avessimo la capacità di considerarlo come un gioco momentaneo, entrando e uscendo dalla parte come attori navigati, sarebbe divertente, un bell'esempio di libertà dagli schemi.
Ma il problema è che la maggior parte dell'umanità è intrappolata nei suoi schemi e passa il tempo ad autocommiserarsi per un ruolo che si è creata da sola. Insomma, finisce per essere insieme vittima  carnefice di se stessa.
Foto dell'autrice
Oppure se ne compiace, vittima del proprio ego ipertrofico, e non immagina nemmeno che potrebbe recitare un altro ruolo, se solo volesse.

Come possiamo comprenderci e accettarci davvero se ci limitiamo dentro a un'etichetta?
E se non ci riusciamo, continuiamo a farci del male in modo inconsapevole.

Perché?
Perché siamo fatti così, siamo sempre stati così, non possiamo mica cambiare...



lunedì 2 dicembre 2013

Innamorati del proprio dramma di vita

Come fa notare Eckhart Tolle nel libro Il Potere di Adesso, tutti noi siamo più o meno innamorati del nostro dramma di vita.
Ovvero, ci compiaciamo - anche se magari solo a livello inconscio - delle nostre disgrazie, dei dolori, dei fallimenti, degli attaccamenti e così via.

Proprio perché ci identifichiamo nella situazione di vita che stiamo vivendo scambiandola per la vita in generale, ci piace etichettarci in un certo modo. Forse perché così ci hanno etichettati fin da bambini, per esempio il timidone o l'inconcludente, o forse a causa di etichette autoimposte durante situazioni che abbiamo vissuto in passato e che ci hanno segnato, o ancora perché certi schemi di comportamento finiamo per ripeterli più volte.

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Allora ecco che emerge quel certo senso di compiacimento per le nostre disfunzioni, perché crediamo di essere fatti così, e che certamente la nostra vita sarà sempre così.

C'è una parte infantile latente in noi che ama farsi leccare le ferite, o leccarsele da solo piagnucolando. 
Ma la vita non è una mamma.
Non è lì pronta ad accorrere per accarezzarci amorevolmente. 
La vita ci sta invece dicendo che attraiamo ciò che pensiamo.
E se pensiamo di essere dei falliti, degli incapaci, o degli sfigati, rischiamo che questo diventi davvero il nostro destino.

Tolle ci richiama all'ordine suggerendoci che se soltanto comprendessimo anche solo un pochino di essere innamorati del nostro dramma di vita, smetteremmo di inscenarlo. Subito.
La consapevolezza del nostro compiacimento così deleterio lo scioglierebbe come neve al sole. 
Poiché solo un masochista o un folle continuerebbe a inscenare un falso dramma.