venerdì 28 febbraio 2014

Affrontare la disapprovazione

Sulla paura della disapprovazione verte la maggior parte delle pubblicità. Se non ci avete mai fatto caso è il momento di osservarne qualcuna attentamente.

Cosa rappresenta la paura della disapprovazione? 
Con ogni probabilità è qualcosa di ancestrale che risale all'epoca remota in cui per sopravvivere si doveva essere parte integrante del branco. Chi ne veniva espulso era destinato a morire.


Foto dell'autrice
Quel terrore è rimasto sepolto molto in profondità nel nostro inconscio collettivo, per questo è così difficile uscirne. Anzi, è così difficile che spesso nemmeno lo riconosciamo.

Se osserviamo che le critiche ci spaventano, ci feriscono, ci fanno sentire incompresi, ci siamo dentro fino al collo.
Ma è una grandissima opportunità!

E' l'occasione di vedere quanto e come questa cosa ci fa star male e, osservandola, possiamo scioglierla.

Se riusciamo a restare presenti a noi stessi, osservando le reazioni fisiche ed emotive alla paura della disapprovazione, dell'incomprensione, senza reagire con i soliti automatismi per difenderci, possiamo uscirne vincenti.
Avremo domato i nostri demoni.

A volte le conseguenze possono essere estreme e dolorose. Alcuni aspetti della nostra personalità si staccano e con loro situazioni, a volte persone. Può essere un partner, un capo al lavoro, amicizie, parenti.

Ma se ci lasciamo sopraffare dalla paura di essere messi al bando, indossando una maschera di scuse e giustificazioni, stiamo perdendo la grande opportunità di rimanere nella nostra integrità.

Perché è proprio questo il punto: affrontare e superare la paura della disapprovazione altrui ci restituisce la nostra integrità. 
E scopriamo che, nonostante il processo doloroso, siamo ancora vivi. Siamo noi stessi.

giovedì 27 febbraio 2014

L'ombra va solo illuminata

I Saggi dicono che l'ombra non è qualcosa da cui puoi scappare. Non puoi relegarla da qualche parte. O meglio, puoi, ed è quello che fanno tutti, ma questo non può che nuocerti. 

Il lato oscuro è sempre in agguato. E rischia di venire fuori a tradimento quando meno te lo aspetti. 
Foto dell'autrice
Perché non ti conosci abbastanza. Non hai fatto i conti con quell'ombra che ti porti dentro. Quindi, l'unica cosa sensata da fare - poiché è l'unica che funziona - è illuminarla. 
Se sei in un sotterraneo al buio e rischi di spezzarti l'osso del collo perché non vedi dove cammini, che fai? Accendi la torcia che ti porti appresso. Logico. 

Ma per ciò che riguarda la nostra interiorità facciamo tutto il contrario! Eppure, la torcia ce l'abbiamo già in dotazone dalla nascita. E' dentro di noi. Non puoi combattere l'ombra con l'ombra. 
Tutto quello che devi fare per dissolvere l'ombra è osservarla con amore. E' parte di te ed è un dono, perché solo attraverso l'osservazione dell'ombra che ti porti dentro puoi capire davvero chi sei. Conoscerti. E accettarti. L'osservazione senza giudizio è il fascio di luce che dissolve le tenebre.                                              

mercoledì 26 febbraio 2014

Un Oceano di Possibilità

Qualche giorno fa mi è capitato, mentre ero sdraiata in attesa di scivolare nel sonno, di sentire l'energia in modo nuovo.

Invece di percepire semplicemente le vibrazioni della mia energia,  ho visto attraverso gli occhi chiusi quell'oceano di possibilità quantiche in cui siamo immersi. Erano onde irrequiete di puntini grigi in movimento.
Erano dentro e fuori di me. Mi permeavano. Io ero puro Potenziale.

Era un'energia neutra,
Hieros Gamos - Foto dell'autrice
come un qualcosa in sospeso, in divenire, che ancora non aveva preso una direzione e nemmeno deciso su quale tono vibrare - basso o alto.

Questo esserne immersa mi ha dato la misura della fiducia che dobbiamo riporre in noi stessi.
Far collassare nella materia quelle possibilità è compito nostro e dobbiamo farlo al meglio, se davvero ci teniamo a migliorare la nostra vita, invece di ricreare sempre gli stessi schemi.

martedì 25 febbraio 2014

Bellezza = Unicità

Il nostro concetto di Bellezza è molto distorto dalla nostra cultura imperante dell'apparire, del somigliare tutti a un modello ideale -irraggiungibile, tra l'altro.

Nell'intervista di ieri a Marco Matera sono venuti fuori due concetti fondamentali per rinascere a sé stessi, riscoprirsi, vedersi davvero con occhi nuovi:

la Bellezza come unicità e il darsi Valore.


Foto dell'autrice
Noi siamo incapaci di vedere quanto davvero di bello ci sia in noi perché siamo condizionati fin da piccoli a piacere agli altri, a compiacerli. Genitori, parenti e insegnanti. Crescendo, nell'adolescenza l'appartenenza al gruppo, l'uniformarsi per tentare di fare parte di qualcosa ed essere così qualcuno, diventa un passaggio obbligato. E non è sbagliato. Fa parte della nostra evoluzione.

I problemi nascono quando anche da adulti non riusciamo a staccarci dalla logica del piacere agli altri per costruirci un'identità. Essere accettati dagli altri per accettare sé stessi.
E' una logica autodistruttiva.

L'unica persona cui dobbiamo davvero piacere è a noi stessi.
Ci sarà sempre qualcuno che non ci apprezza, non ci comprende e ci critica. 
Più cerchiamo di piacere agli altri, più tradiamo la nostra identità profonda. Tradiamo la nostra unicità.

Uguaglianza nei diritti e doveri di cittadini non ha nulla a che fare con l'essere ciò che siamo. Cioè unici, irripetibili. 
Una somma di fattori miracolosi ci ha fatti nascere in questa vita.

Invece che concentrarsi su ciò che non ci piace di noi dovremmo invece puntare sui nostri talenti, sui doni che ci sono stati dati, sulle nostre aspirazioni profonde, che sono le nostre potenzialità inespresse.
Anche i difetti lo sono. In un mio articolo di qualche settimana fa si parlava proprio dei cosiddetti difetti come qualcosa che siamo venuti a sviluppare in questa vita. E possiamo farlo attraverso il riconoscere quali sono i nostri talenti e quindi la nostra strada nel mondo per esprimerli. 
Ci sono stati dati per farne buon uso. Non per tenerli ad ammuffire in un cassetto.

Il problema fondamentale delle frustrazioni umane sta nel credere che gli altri abbiano talenti migliori dei nostri. Gli uomini ammirano ed invidiano gli sportivi e si chiedono perché non sono nati per fare il calciatore/giocatore di rugby/basket, ecc. Le donne si chiedono perché non sono nate con il talento per il canto/ballo o abbastanza belle per fare le modelle. (Scusate se generalizzo).
Come se i talenti si riducessero solo a quelli!

Finché non vedono davvero quali sono i loro doni non faranno che sentirsi delle nullità. La crisi di oggi proprio per questo è anche morale e identitaria.

Il darsi Valore, che è il secondo punto, è proprio comprendere e accettare con gioia la nostra personale missione sulla Terra. E metterla al servizio dell'umanità.

E non dite che non avete talenti, è una bestemmia! Nessuno ne nasce privo. Scavate, cercateli e li troverete. Fatene buon uso.
DIVENTATE VOI STESSI.


lunedì 24 febbraio 2014

Cos'è il coaching? Intervista a Marco Matera.

Anche nell'ambito lavorativo, negli ultimi anni sta prendendo piede il coaching. Un motivatore aiuta le persone a trovare soluzioni. Questo tipo di approccio non è affatto lontano da quello che hanno alcuni maestri spirituali occidentali contemporanei.

Agganciandomi all'articolo di venerdì sul metodo anti-lamentela di Will Bowen, ho intervistato un amico coach di professione:
Marco Matera, che vive e lavora in Liguria.

La prima cosa che mi ha detto è stata: Come affermi nel tuo blog, lamentarsi è focalizzarsi sul problema anziché sulla soluzione. Quando usciamo dalla logica del problema per abbracciare quella della soluzione, o meglio dei vantaggi che la soluzione porta, la realtà si apre di fronte a noi con colori diversi. 

In effetti questa è l'essenza del Solution focus, l'approccio che sto portando in Italia: focalizzarsi alle soluzioni, appunto.
Un mio collega dice che fare la spesa con la lista delle cose che non servono è complicato; se ci pensiamo sembra banale, ma quello che facciamo normalmente è questo. Diciamo Non voglio essere stressato, non voglio questo, non voglio quell'altro, mentre dovremmo chiederci Che cosa voglio?

Ma questa è una domanda difficile, siamo più abituati a stare con la scarsità che nell'Abbondanza. C'è un a frase che mi ha colpito molto di Steve de Shazer: Anche se non sappiamo che cos'è bene, possiamo sempre sapere cos'è meglio.

Parlami del tuo lavoro.
Ritratto di Marco Matera

Marco: Sono laureato in chimica e da molti anni mi occupo di sviluppo organizzativo, di coaching sistemico. Lavoro sulla comunicazione, sulla gestione del conflitto e ciò che faccio è aiutare le persone a essere presenti, e in quello spazio di Presenza manifestarsi meglio. Facilito il passaggio dal lamentarsi, dallo scappare dai problemi, al focalizzarsi sulla soluzione. Sostanzialmente, lavoro in ambiti aziendali.

In cosa consiste tecnicamente?

Marco: Quando qualcuno ti parla di un suo problema, la prima cosa che fa è creare una cornice, definendo così il contesto in cui il problema è inserito. La cornice crea di fatto un confine e più esploriamo il problema più il quadro che ne viene fuori avrà delle tinte più o meno forti. 
Sarà il disegno di tutto ciò che non funziona, alimentando così la nostra tendenza alla lamentela o alla ricerca di una causa. C'è una domanda che può portare a un'ottica totalmente differente: Supponi per un attimo che il problema non ci sia, di averlo risolto, che cosa ci sarebbe di diverso?

L'immagine che emerge sarà totalmente differente da quella inserita all'interno del quadro. Esplorando i piccoli miglioramenti da apportare, emergono risorse, idee, piccoli passi concreti da poter fare realmente, ma soprattutto si esce da un'immagine negativa riscoprendo la capacità che abbiamo di immaginare, di percepire ciò che è meglio.
Per gli aspetti tecnici ti consiglio un bel testo di cui ho curato la versione italiana per Franco Angeli, "Punta alla soluzione".

Il lavoro del coach è quello di sostenere la crescita, aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi. Praticamente, un coach aiuta a organizzarsi, a comprendere quelli che sono gli obiettivi e a riscoprire le risorse che servono per raggiungerli.
Un facilitatore che offre un punto di vista diverso e aiuta a porsi delle domande. Non è un terapeuta né lo sostituisce. Il coach -nella tua metafora dell'arciere - è colui che ti aiuta a imbracciare l'arco.

Quindi è questo che fa un motivatore?

Marco: Io credo che in realtà le persone si motivino da sole. L'approccio focalizzato alle soluzioni aiuta a riscoprire risorse nascoste e ad attivarle. Spesso abbiamo sotto gli occhi la nostra forza, ma non la vediamo perché la releghiamo in un unico ambito. Ad esempio: sai cucinare? Quante risorse ci sono dentro? La capacità di gestire il tempo, la creatività, l'inventiva… Spesso però le releghiamo solo in cucina.

Esistono motivatori sportivi, aziendali e di vario genere, io sono convinto che quando le persone scoprono quali sono i vantaggi del raggiungere quell'obiettivo, si motivano sa sole: non c'è bisogno che lo faccia io per loro. Anche perché io non conosco il vissuto della persona che si rivolge a me, solo quella persona sa esattamente ciò che è buono per lei.

Avere una persona che ti aiuta a ipotizzare nuove strade e ti offre un punto di vista differente, apre uno spiraglio e ti aiuta a  definire quali sono i piccoli passi da compiere per migliorare le cose.

Un altro aspetto del mio lavoro è aiutare a manifestare la Bellezza. Soprattutto adesso, in questo momento di crisi, la distintività è uno degli aspetti vincenti. Capire quali sono i tuoi lati distintivi, capire i vantaggi per chi si avvale delle tue competenze, permette di comprendere come offrirti al meglio per metterti sul mercato, per poter dire qualcosa di diverso, per entrare in relazione in maniera più efficace.
Photo By Marco Matera

Cosa ti ha spinto a fare questo mestiere?

Marco: Qualche anno fa sono stato intervistato dall'Università di Breda in Olanda, e mi hanno chiesto quale è stata la molla che mi ha mosso a fare questo mestiere. E' stata una domanda su cui ho riflettuto molto, e sono giunto alla conclusione che a muovermi è la Bellezza; la Bellezza in senso lato, cioè quella che emerge quando ci manifestiamo davvero
Vedere qualcuno che da solo trova la spinta, la forza, il coraggio, la voglia, l'entusiasmo, la passione per raggiungere i suoi obiettivi è davvero una manifestazione di Bellezza. Te ne accorgi quando guardi i suoi occhi che brillano.

Si può riconoscervi una manifestazione del divino, secondo te?

Marco: Sì, si può riconoscere una propria sacralità. Non come religiosità, più che altro come spiritualità. Come accesso a una parte molto profonda di sé. Quando questo accade, spesso crea commozione. Si crea uno spazio in cui davvero ci incontriamo, in cui davvero ci vediamo.

Quali sono le evoluzioni più comuni nelle persone che segui?

Marco: L'aspetto che più mi colpisce è il cambiamento che accade quando le persone si riconoscono e si danno valore. Quando esse riconoscono il proprio valore cresce il senso di merito, e questo cambia tutto.
Un esercizio interessante è: fare una lista delle cose in cui siamo più bravi, dei talenti che che avevamo da bambini e delle risorse che abbiamo sviluppato finora e poi semplicemente osservare ed essere testimoni delle cose belle intorno a noi.

Un altro aspetto che ho notato è lo sviluppo dei propri lati selvaggi. Io sono un fan del libro Donne che corrono coi lupi (Pinkola Estés), che mi ha talmente toccato fin dalla prima volta in cui l'ho letto, che me lo porto dentro da anni. Ho sviluppato anche un workshop per Lufthansa ispirato a questo.
Ciò che ho notato è l'emergere del proprio lato selvaggio, che non è legato per forza alla sessualità - anche se c'è una componente - ma è più legato al vivere con i piedi radicati
Quando si è presenti a sé stessi, si riscopre questo aspetto naturale, essenziale, istintuale. Hai peso, ed è il peso ad essere radicato alle tue gambe. 
Ha anche a che fare con l'essere Allineato: se siamo Allineati alla nostra Anima, al nostro progetto, al nostro Essere, tutto in noi diventa congruo.
Infatti, non ti preoccupi più di convincere gli altri, perché tutto il tuo corpo, i tuoi gesti, le tue parole sono allineati con quella cosa.

Infatti, in questo modo diventiamo l'esempio, lo incarniamo. Tornando alla lamentela, so che ti sei anche occupato di un documentario, ne puoi parlare brevemente?

Marco: Insieme a due amici ho realizzato un documentario che si intitola Se io fossi acqua. Racconta, attraverso interviste, la rinascita di una piccola valle dell'entroterra ligure a seguito dell'alluvione che colpì anche le Cinque Terre nel 2011.
Nei dieci mesi in cui abbiamo affettato le riprese, nessuna delle persone intervistate si è mai lamentata. Hanno manifestato dolore, tristezza, paura, ma mai hanno delegato ad altri la responsabilità, o si sono lamentati di ciò che non funzionava. Hanno sempre posto l'accento su cosa c'era di buono. Facendo leva sul senso di comunità, non si sono persi d'animo e hanno allestito le cucine da campo che usano per le loro sagre mangiando tutti insieme e offrendo cibo anche ai volontari giunti in aiuto.
Focalizzarsi sulle soluzioni ha permesso loro di unirsi e riuscire a rimettere in sesto l'acquedotto e i campi devastati. Il documentario testimoniava la loro rinascita.
Dopo la partecipazione a festival importanti, stiamo portando questo documentario in giro per l'Italia, e ogni proiezione diventa l'occasione per condividere la capacità che le persone hanno di entrare in relazione, essere di supporto nell'emergenza.
In questo sta la bellezza dell'essere umano. 

www.marcomatera.it 
https://facebook.com/SeIoFossiAcqua







venerdì 21 febbraio 2014

Will Bowen e un mondo senza lamentele

Pochi giorni fa una carissima amica mi ha parlato di un metodo divertente per eliminare la lamentela dalla propria vita quotidiana, inventata da un americano di nome Will Bowen.

La tecnica è molto semplice: si mette un braccialetto attorno a un polso, a scelta. Durante il giorno ci si osserva per intercettare eventuali lamentele, critiche e pure gossip che escono dalla nostra bocca. 
Foto di Cinzia Cavaletti al suo giorno 2
Ogni volta che la lamentela affiora all'esterno, portiamo il braccialetto all'altro polso. E il giorno seguente sarà ancora il giorno 1.
Se riusciremo a non lamentarci per 21 giorni di seguito, potremo dire di aver eliminato la lamentela anche dal nostro inconscio. Ci saremo ripuliti.

Bisogna essere onesti con sé stessi e riconoscere quando qualcosa che diciamo non è semplicemente un'affermazione ma è una lamentela. Persino sbuffare e alzare gli occhi al cielo fanno parte dell'abitudine alla lamentela, e ci partono meccanicamente. 

Dire al gatto di scendere dal letto non è una lamentela.
Dire: Ecco, sempre sul letto, ora mi hai riempito il piumone di peli, stupido gatto! E' una lamentela.
Uffa, è una lamentela. Che palle!, è una lamentela.

Perché eliminare la lamentela dalla vita?
Perché, spiega Bowen nel suo libro A complaint free world (Un mondo libero dalla lamentela), che noi siamo tutti self-made, cioè ci facciamo da soli. 
Tutto ciò che ci accade in qualche modo lo creiamo noi con il nostro inconscio. La lamentela è focalizzarsi sul problema e non sulla soluzione, dice l'autore. Quindi, con l'energia della lamentela finiamo per attirare ciò che non vorremmo.

I benefici sulla mente sono notevoli, essa è più rilassata, il corpo non sente il peso della lamentela su di sé, ci si concentra di più su pensieri costruttivi.

Will Bowen, poi, parla della teoria della fionda, ovvero: quanto più tiri indietro l'elastico, tanto più andrai lontano. E chiaramente, se sei privo di energia perché la lamentela te la porta via, le tue azioni per andare dove vorresti sono più deboli, meno efficaci. Se hai l'entusiasmo, il tuo tiro sarà pieno di forza.

Quindi, il metodo porta le persona a slittare da una vita di insoddisfazione a una vita di azione. 
Questo metodo, se preso anche con autoironia, invita alla sfida quotidiana con sé stessi e con i propri limiti.
L'esempio della barriera corallina è lampante: i coralli sono più vivi e in salute dalla parte dell'oceano, mentre dalla parte della laguna tendono a morire più in fretta. Perché? Per via delle continue sfide sollecitate dall'oceano, con le sue correnti, dalla fauna. Il corallo è più vivo se deve confrontarsi con le sfide della
Autoscatto dell'autrice al secondo giorno 1
sopravvivenza.


Per chi decidesse di provarci, sappia che non si deve scoraggiare, per questo è necessaria una buona dose di autoironia e obiettività, ma anche di determinazione. 
Da tre giorni sono al giorno 1. Meglio! Mi sto osservando e mi rendo conto, sia per ciò che riguarda me stessa ma anche chi mi circonda, che il 95% circa delle nostre frasi sono intrise di lamentela.
95%! Tutta energia sprecata a concentrarsi su ciò che non va e non sulla soluzione!

Sappiate anche che a detta dell'autore per arrivare a fare tutti i 21 giorni di fila senza lamentela sono necessari dai 4 agli 8 mesi.
Avanti, coraggio, la sfida è aperta!





giovedì 20 febbraio 2014

Passare attraverso il fuoco

Nella nostra cultura edonistica, siamo ormai abituati a considerare il dolore qualcosa di negativo, da evitare, a cui sfuggire ogni volta che si presenta alla nostra porta. 


Foto dell'autrice
Se nella vita ci comportiamo come animali reagendo alla paura, ci comporteremo con il dolore o con il rischio di provarlo come un animale selvatico con il fuoco.

Quando tu chiedi all'Universo di guarire, per esempio, dai problemi amorosi, dalla sofferenza connessa all'innamoramento, questo non ti manda la persona che di colpo fa svanire tutto il dolore per magia, come nei cartoni animati.

Al contrario, ti manda uno specchio che rifletterà tutte le tue paure, ossessioni, debolezze, il terrore del fallimento, del rifiuto, dell'abbandono, di non essere amato, di non essere importante, di non avere valore, di restare solo, di rimanere deluso, di venire tradito, di morire di dolore. Il terrore di vagare nella disperazione e nella frustrazione per il resto dei tuoi giorni. 

Tutto questo dolore è paragonabile a un cerchio di fuoco.
Non tutti sono pronti per attraversarlo. 
Di solito lo fai quando non hai altra scelta se non continuare a vagare nell'ombra.

Ci vuole coraggio. Magari alcuni hanno fatto un patto con la vita prima di incarnarsi ed erano destinati a fare il salto.

A un certo punto capisci che l'unica cosa che puoi fare è provare ad attraversare il cerchio di fuoco per toccare con mano cosa davvero c'è al di là, perché conosci troppo bene l'al di qua e sai che questo non ti porterà all'evoluzione. 

I Maestri dicono che il dolore si deve affrontare, osservare, starci dentro finché non passa.
La maggior parte degli umani scappa, lo evita, o ci si perde, ne rimane invischiato.
Around the fire - Foto dell'autrice


Ma se comprendi che tutto il tuo corpo di dolore è come una scorza sotto cui esiste il tuo vero sé, allora puoi passare nel cerchio di fuoco, e tutta quella scorza inutile e pesante che ti trascinavi appresso, identificandoti con essa, si incenerisce. 
E cosa scopri?
Che il tuo vero sé è INVINCIBILE.
Che il tuo vero sé è immortale, nessun fuoco può bruciarlo o danneggiarlo.
Per questo sei ancora vivo.

Solo chi lo ha provato di persona sa come ci si sente. 
Con una freschezza e leggerezza nuova. 


mercoledì 19 febbraio 2014

Click: come rovinarsi la vita scappando dal presente

Come ho già scritto in un precedente articolo, capita a volte di imbattersi in commedie che sotto la superficie di momento di svago contengono grandissime verità e le illustrano in modo magistrale.

Una di queste è Cambia la tua vita con un CLICK, con Adam Sandler e Christopher Walken.
Narra la vicenda di un architetto molto ambizioso oberato di lavoro che non ha mai tempo per la famiglia. Un giorno gli viene regalato un telecomando universale che gli permette di gestire la propria vita come fosse un televisore.

Foto dell'autrice
Se non vuol sentire il cane abbaiare mette il MUTE, se la moglie sta cominciando a litigare la mette in pausa, se una cosa non ha molta voglia di farla va avanti veloce, e addirittura, se non si sente di affrontare una cena con i parenti perché vorrebbe lavorare al suo progetto, salta direttamente la scena. 
Anche la promozione la ottiene così: invece di godersi ogni singolo giorno di lavoro che lo porterà alla promozione, salta subito al giorno che gli interessa.
Scopre così che quando salta i momenti che non gli piacciono, il suo corpo sta vivendo e agendo con il pilota automatico. 

All'inizio a lui sembra bellissimo. Ma pian piano si accorge che si sta perdendo interi pezzi di esistenza e spesso non sa di cosa la moglie o i figli stiano parlando - certo, perché non c'era, non era presente!
Inoltre, a un certo punto il telecomando prende il sopravvento, va fuori controllo e non può essere né distrutto né restituito.
Il protagonista scopre così che il telecomando si è autoprogrammato in base ai suoi schemi ed abitudini, in base alla sua ossessione per i risultati e alla sua propensione a saltare tutto ciò che lo infastidisce, invece di affrontarlo.

Si ritrova così avanti di trent'anni, scoprendo di essersi perso la crescita dei figli, la morte del padre, e di essere stato abbandonato dalla moglie esausta per quel rapporto con un uomo infantile che non c'era mai.

E' molto bello nel film vedere i meccanismi che portano la nostra mente ad autoingannarci facendoci credere che non abbiamo tempo da dedicare agli altri se non ai nostri obiettivi illusori, vivendo sempre proiettati verso il risultato finale.

A tutti sarà capitato in famiglia di dire ai figli Ora non ho tempo, sto lavorando/cucinando/ecc. Se lo dite almeno una volta al giorno, siete nei guai!

Quante volte nella vita mettiamo il pilota automatico per non viverci i piccoli fastidi, ad esempio, del traffico - pensando sia meglio vagare con la mente o stilarci un'agenda mentale delle cose da fare?
Quante volte a una cena in cui ci stiamo annoiando a morte mettiamo su un sorriso ebete e annuiamo con la testa come un pupazzo, mentre nella testa ci stiamo rilassando sotto una palma tropicale o stiamo avendo un incontro erotico con un gran pezzo di ragazzo?
Non negate! E' successo a tutti.

Eppure, andando avanti negli anni, queste cose si pagano, e care.
Foto dell'autrice

Interi pezzi di esistenza, persi. 
Quante frasi ci sono state dette per una seconda volta e noi siamo cascati dal pero?
- Ah sì, e quando me lo hai detto?
- Ieri. Due volte. E tu mi hai pure detto ok!

Pilota automatico.

Nel film, verso la fine il protagonista si rende conto di ciò che ha perso e dice al figlio di dare più importanza alla famiglia.
In realtà, rispetto al significato profondo del film, è una frase un po' fuorviante.
Il problema non è passare meno tempo a lavorare e più tempo con moglie e figli.
Il problema è che se hai una mente fuori controllo che scappa da qualche parte ogni volta che il presente non le piace, oppure per abitudine non c'è proprio mai, ovunque tu sia, casa o lavoro, non fa differenza.
Non ci sei. Il tuo corpo è vuoto, è un meccanismo automatico.
E alla fine dei tuoi giorni scopri che non hai vissuto davvero.

martedì 18 febbraio 2014

Non fare agli altri...

A tutti noi sarà capitato di imbatterci in persone maleducate che a una richiesta gentile reagiscono con insulti e parolacce.

Foto dell'autrice
Ci sono persone definite scorbutiche che hanno la tendenza a comportarsi in maniera arrogante e rabbiosa, e spesso esse, guarda caso, si fanno il vuoto intorno. Il paradosso sta nel fatto che queste persone si sentono sole e incomprese in un mondo ostile e per questo reagiscono sempre malamente, sentendosi personalmente attaccate. Finiscono per giudicare l'umanità come maligna e antipatica, ma non vedono che sono loro le prime a creare questa ostilità intorno a sé. 

La famosa frase di Cristo Non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te stesso andrebbe ricordata ogni volta che stiamo per reagire male a qualcosa, ogni volta che ci verrebbe da insultare qualcuno, fosse anche credendo di essere nel giusto.
E' facile reagire a qualcosa che ci ferisce lanciando insulti e dicendo cattiverie, ma se la stessa cosa viene fatta a noi la giudichiamo ingiusta.

Evidentemente, quando siamo in reazione a qualcosa, ci sfugge questa semplice verità.

Inoltre, ora che sappiamo bene come funziona la Legge dello Specchio, dovremmo comprendere che insultare qualcuno è insultare sé stessi, perché se nulla accade fuori, se il mondo lo creo io dall'interno di me stesso, l'insulto che vomito sull'altro è
Foto dell'autrice
indirizzato a me stesso!

Se penso che la persona davanti a me sia un coglione o un rompiscatole, non è forse una mia creazione? Se è mia, quei giudizi che ho in me li anche su di me.
Non riconosciamo una parte di noi che comunque esiste, non la amiamo, non la accettiamo.

E questo vale sia per chi insulta che per chi viene insultato.
Quale parte cafona di me non riconosco come mia?

Ma soprattutto, occhio: tutta la negatività che mandi nel mondo ti ritorna. 
La Legge dice che l'energia, la vita stessa, sono come un boomerang.
Ciò che lanci, ritorna. 

lunedì 17 febbraio 2014

Uno su mille

E' cosa nota che in ogni generazione, finiti gli anni della giovinezza in cui si fanno grandi progetti, in cui si è idealisti e sognatori, a conti fatti la maggioranza abbandoni ogni slancio di cambiamento.

Passano vent'anni, e si scopre che solo una percentuale minima, direi irrisoria, è riuscita a realizzare i propri sogni, o comunque si può dire davvero soddisfatta della propria vita.

Foto dell'autrice
Da ragazzi si disprezzavano gli atteggiamenti degli adulti che si erano adattati, accontentati, di tirare avanti a testa bassa in attività insoddisfacenti, frustranti, solo per la paura di non portare a casa il pane.

E poi, cosa succede? Perché anche i figli, alla fine, dimenticano la propria Leggenda Personale per una vita di schiavitù, di asservimento al Sistema, pensando che sia l'unica via possibile?

Penso che oggi, con la crisi economica che ha messo un po' tutti in discussione sui propri ruoli, sulle proprie priorità e su ciò che è superfluo, ci sia la grande opportunità per tutti di alzare la testa e affidarsi al proprio istinto, al proprio cuore e seguire il talento.

Non è più tempo di schiavi, ma di missionari dello spirito, cioè di chi si ascolta e sente la chiamata a essere ciò che è, invece di adattarsi per paura di morire di fame.

E' il pessimismo che frega tutti.
Foto dell'autrice

Ma se impariamo ad affidarci, totalmente, la vita è costretta a sostenerci perché risponde ai nostri reali bisogni. 
Se siamo qui è per uno scopo. 
E non è certo solo lavorare duro a testa bassa senza farsi domande, pagare le tasse e riprodursi. 

Non è più tempo per gli schiavi.
Siamo tutti chiamati a essere portatori di talenti e ad esprimerli, a incarnarli. Il denaro per vivere verrà da sé, come conseguenza inevitabile.

venerdì 14 febbraio 2014

La parabola delle 10 vergini secondo Tolle

Nel libro Il Potere di Adesso di Eckhart Tolle, a pag. 115 viene citata la parabola delle 10 vergini del Nuovo Testamento.

In Matteo 25, 1-13, Cristo racconta che si preparavano a ricevere uno sposo per il corteo nuziale. Tutte dovevano portare una lampada, ma cinque di essere, definite stolte, non portarono abbastanza olio per nutrire la fiamma. Lo sposò tardò, esse si appisolarono, e quando egli arrivò queste non avevano più olio per le loro lampade e il fuoco si estinse.
Foto dell'autrice

Nell'interpretazione canonica, lo sposo è lo Spirito Santo e le lampade con l'olio l'attesa, la preparazione a riceverlo.

Eckhart Tolle offre invece un'interessante interpretazione che riguarda il Qui e Ora.

Le cinque vergini stolte sono persone inconsapevoli, la mancanza d'olio rappresenta l'inconsapevolezza. Le lampade che devono essere tenute accese sono la Presenza e quindi, addormentandosi, le cinque ragazze non sono pronte a ricevere lo sposo ovvero a entrare nell'Adesso. Il banchetto di nozze cui non possono più partecipare è l'illuminazione.

Foto dell'autrice
Nei testi sacri le verità esoteriche vengono nascoste dentro storielle e narrazioni che nel tempo sono state spesso male interpretate o viste in una luce più superficiale e morale rispetto al vero messaggio. Un tempo si pensava che certi concetti spirituali fossero destinati solo a pochi prescelti per l'illuminazione (il termine esoterico significa proprio questo: per iniziati). 

Questa parabola, sia nella versione di Tolle che in quella canonica, è comunque fondamentale per comprendere che per ricevere i doni dell'illuminazione e della Grazia divina dobbiamo essere pronti, rimanere vigili, come un guerriero che veglia la notte con tutti i sensi in allerta - sia all'esterno che all'interno di sé. 
Nulla ti può davvero arrivare se non sei aperto per lasciarlo entrare.




giovedì 13 febbraio 2014

YES MAN: dire sì alla vita

C'è un film di qualche anno fa con Jim Carrey che si intitola Yes Man, che all'apparenza sembra una normale commedia come ce ne sono tante.

In realtà offre un bello spunto di riflessione sul nostro atteggiamento verso la vita.

Nel film il protagonista è un uomo depresso e demotivato, che passa il tempo da solo sul divano dicendo no a tutti gli inviti degli amici, e anche fuori di casa riesce solo a dire no. A chi gli porge un volantino, a chi gli offre delle arance, a chi gli chiede un favore. Il suo no è un lasciatemi in pace. Odio il mondo e odio voi.

Insomma, quest'uomo non vive. Rifiuta ogni opportunità della vita.

Un giorno viene convinto da un amico a partecipare a un seminario con uno speaker motivazionale che dice:

Io voglio che voi invitiate il SI' nella vostra vita, perché il SI' a sua volta vi risponderà SI'. Quando voi dite SI' entrate nella sfera del possibile, fate il pieno di tutte le energie vitali ed espellete le scorie. 

Foto e grafica dell'autrice
Insomma, si sta parlando della Legge di Attrazione.
Se mandi sì nell'Universo, l'Universo non può che farti eco rispondendoti di sì. Stessa cosa con il no. Se dici no, ottieni no.
Se dici sempre di no stai dicendo no alla vita. Se vuoi tornare a vivere, devi dire sì alla vita.

Nel film il protagonista si trova nella condizione di fare un patto con sé stesso e imparare a dire sì tutte le volte che gli viene rivolto un invito.
Essendo una commedia ci sono alcuni risvolti esilaranti, ma la sua vita cambierà, prendendo pieghe inaspettate, scoprendo la vita, la gioia, l'amore.

Certo, sta a noi scoprire se nella nostra vita abbiamo bisogno di imparare a dire più di sì o se invece dobbiamo imparare a dire no, mettendo dei paletti, con fermezza, perché siamo troppo compiacenti e ci sentiamo obbligati a dire di sì anche quando dentro di noi, dal profondo, sentiamo urlare un no.
Foto dell'autrice

Questa commedia è un buon punto di partenza per fare una riflessione sincera su quante volte abbiamo detto di no per paura, per convenzione, per pigrizia, per diffidenza, per opporci a qualcosa o a qualcuno solo per il gusto di farlo.

Eppure, la vita ci porta spesso delle occasioni inaspettate che possono cambiarci, aprirci nuove strade. E la paura di dire sì e buttarsi nell'ignoto rischia di farci perdere treni importanti.


mercoledì 12 febbraio 2014

Il luogo comune Animali vs Uomo

C'è un luogo comune che serpeggia tra gli umani amanti degli animali, una trappola in cui siamo caduti tutti, nessuno escluso.
Pensare che gli animali siano meglio degli uomini.

La prima reazione a questa lettura, lo so già, sarà snocciolare il perché un animale è meglio.

1) L'animale è se stesso
2) Non ti tradirebbe mai, specie i cani
3) Non si lamenta
4) Ti ama incondizionatamente
Foto dell'autrice
5) Non parla a vanvera e non ti manda affanculo come un figlio adolescente
6) Ha bisogni primari e non richieste assurde piene di aspettative come un partner
7) E' un essere indifeso in un mondo pieno di pericoli, specie di umani crudeli con gli animali

Ma se conosciamo la meravigliosa Legge dello Specchio, tutto ciò che amiamo in qualcuno rispecchia una qualità della nostra anima - qualcosa che in potenziale c'è già dentro di noi - se no, non la vedremmo. 
La stessa cosa vale per ciò che detestiamo.

Se detestiamo la falsità, la meschinità, le lamentele, le aspettative, l'egoismo e la mancanza di amore e compassione degli umani verso le creature indifese, anche quella parte è nostra!

Pensiamo che gli umani siano essere abietti perché questo è un giudizio che abbiamo sviluppato. 
Guardiamo il mondo attraverso gli occhi del giudizio e non con gli occhi di Dio.

Tutto esiste per essere sperimentato, osservato, accettato e poi amato.
Se non accetti queste qualità nell'essere umano non vedi che sono aspetti necessari della personalità, perché non può esistere, nella materia, il giorno senza la notte, l'alto senza il basso.


Foto dell'autrice
Gli animali sono creature meravigliose e io li adoro, amo i  miei due cani come fossero figli miei. 
Ma ho compreso che a noi umani è stata data l'opportunità unica a livello animino di sperimentare la vita con un corpo e una mente umana per imparare a vedere.
A farci delle domande, a fare un lavoro su di noi per scoprire che tutto è come deve essere.

Finché non amiamo gli esseri umani non amiamo noi stessi, e se non amiamo noi stessi non capiamo la nostra natura divina.
Ovviamente, anche gli animali sono divini, ma sono gli altri esseri umani lo Specchio più crudo e spietato in cui guardarci. 




martedì 11 febbraio 2014

Sentire la Chiamata alle Armi

Quando una persona sta affrontando un percorso di risveglio, può capitare a un tratto che i frutti del duro lavoro su di sé si manifestino all'improvviso, in modo prepotente.

Ne scaturisce un senso profondo di responsabilità. E' un dovere. Si è chiamati ad esercitare questa responsabilità come se si scendesse in battaglia. E' una Chiamata alle Armi.

Foto dell'autrice
Molti pensano erroneamente che il risvegliato sia uno che sprizza cuoricini intorno a sé e dice, come scherza Salvatore Brizzi in una sua lezione, Namasté a tutti con voce flautata.

La parte combattiva di sé va sviluppata, nutrita, perché è in primo luogo un esercizio di volontà, e senza la volontà e l'autodisciplina non si va da nessuna parte.
In secondo luogo, come puoi affrontare i tuoi demoni se non sai come combattere?

I Maestri dicono che il guerriero non è colui che non ha paura, ma colui che la paura la affronta. La guarda in faccia, la scioglie come neve al sole con la sua determinazione a vincere i propri demoni.

Il guerriero di luce cade, si fa male, ma si rialza, poi cade ancora nel fango e nella polvere, annaspa, chiede aiuto, piange, si contorce dal dolore. E poi, quando capisce che sta a lui rialzarsi da solo, lo fa.

Solo chi ci è passato può testimoniare che il coraggio ti viene morendo di paura. 
Quando sei morto di paura, rinasci. E scopri che quella paura era una tua proiezione mentale.

Quando capisci i tuoi demoni e impari ad affrontarli, diventi potente.
Lo senti dentro, lo senti pulsare, il tuo Potere, invaderti, e una nuova chiarezza - mentale e spirituale - si affaccia. 
E per la prima volta nella tua vita sai che nulla tornerà ma più come prima. Il baratro è dietro di te.
Lo hai riempito di consapevolezza e amore per te stesso. E non è più nemmeno un baratro. 

Foto dell'autrice
Due sono gli strumenti fondamentali del guerriero di luce: la spada (o l'arco o il combattimento), che simboleggia il lavoro su di sé, contro i propri demoni, e il Cuore. 
Perché senza Cuore, senza Amore, sei una macchina. Senza spada sei indifeso.

Il vero guerriero illuminato sa quando esercitare la dolcezza e quando affilare la spada.
Ma il suo combattere sarà privo di rabbia, di reazione, avrà la fermezza di affrontare ciò che va affrontato partendo dal presupposto che il suo centro è immutabile.

Se senti la Chiamata alle Armi devi andare, uscire dalla tua tana rassicurante e cominciare ad allenarti per la battaglia finale.

lunedì 10 febbraio 2014

Tiro con l'arco e Presenza

Il tiro con l'arco, oltre a essere uno sport ancestrale, è un ottimo esercizio per sperimentare la Presenza. 
Inoltre, è una perfetta metafora del tipo di lavoro che porta al raggiungimento degli obiettivi.


Foto dell'autrice
Per prima cosa, occorre dire che il centrare perfettamente il bersaglio è secondario rispetto all'importanza della postura e del rilassamento dell'arciere.

Se non si ha una corretta postura senza tensione nelle braccia e nelle mani, la freccia sarà debole e con ogni probabilità fallirà il bersaglio.
L'arciere, mentre tende l'arco, sente ogni muscolo muoversi, allungarsi, percepisce il proprio respiro, chiude un occhio e diventa un tutt'uno con l'arco stesso, la freccia e il bersaglio.

In quel momento sperimenta la Presenza, la mente è quieta. 

Le dita tendono la corda per alcuni secondi fino a che si lasciano scivolare via da essa e la freccia è scoccata.
Questo scivolare via senza strappo è un'importante metafora del modo giusto per lanciarsi verso un obiettivo.

Se noi forziamo gli eventi, per impazienza o per rabbia, la freccia sarà scoccata malamente e sarà debole, oppure fallirà completamente il centro del bersaglio. Dobbiamo capire quando è il momento giusto di lasciare andare a destinazione la nostra intenzione. Quando siamo rilassati e fiduciosi, e lasciamo scorrere le cose via da noi perché prendano la strada del mondo.

Insomma, è sempre e solo il nostro atteggiamento che ci porta a un qualche risultato. Positivo o negativo, dipende da noi, mai dall'esterno.

Inoltre, una cosa fondamentale che si impara tirando con l'arco, è che non bisogna mai provare a tirare senza la freccia incoccata, cioè lasciando andare la corda dopo averla tirata al massimo.
Questo perché, tecnicamente, la corda produce delle vibrazioni che potrebbero danneggiare i flettenti in modo irreparabile.

Nella vita, a pensarci bene, è la stessa cosa. Non puoi lanciarti verso un obiettivo senza avere capito bene come raggiungerlo. 
La freccia è il come. Se non ne hai la minima idea o sbagli mezzo, puoi fare danno. A te stesso.

Consiglio alle persone che faticano a raggiungere i propri obiettivi o che li falliscono di provare a tirare con l'arco.
Foto dell'autrice
Sperimentandolo di persona, si sente una nuova energia di consapevolezza ed azione invaderci. 
Si sperimenta la determinazione priva di rabbia o impazienza.
Si diventa presenti a sé stessi con la padronanza di uno strumento che prima di tutto incarna un esercizio spirituale.

Si sente emergere qualcosa di selvaggio sepolto dentro di noi. E' un retaggio antico. L'arco è stato il primo strumento complesso di caccia, quindi di sopravvivenza, e non di guerra. Non contiene in sé quella connotazione distruttiva che hanno invece le armi da fuoco.
Ma questa è un'altra storia.

venerdì 7 febbraio 2014

Potenziale. Non mancanza!

Ognuno di noi è venuto al mondo con delle qualità, dei talenti. 
I Saggi dicono che siano cose che abbiamo acquisito in vite precedenti, per questo sappiamo farle così bene, naturalmente.

Ma che dire di ciò che definiamo come mancanza o difetti?

Siamo portati a credere di avere dei limiti insuperabili. Siamo convinti che se siamo fatti così quella è la nostra realtà, punto e basta. 
Spesso ci si crogiola nella proprie inettitudini giustificando l'essere fatti così.

Ma se invece non fosse così?
Ci avete mai pensato? Vi siete mai chiesti: I miei difetti a cosa servono?
Probabilmente no. Di solito, ci si lamenta di essi come se fossero la triste condanna inflittaci da una vita ingiusta.

Datemi una leva e vi solleverò il mondo, disse Archimede.

Foto dell'autrice
Per la nostra anima, i cosiddetti difetti, le apparenti mancanze, non sono altro che qualità da sviluppare.

Se non riusciamo a tenerci un lavoro, o a portare le cose a termine, è probabile che dobbiamo sviluppare la perseveranza.
Se non riusciamo a fare a meno di finire per tradire sempre un partner o un amico, allora dovremo sviluppare la lealtà.
Se ci sentiamo scoraggiati davanti alle piccole e grandi difficoltà, se ci sentiamo spesso impotenti o incapaci, ecco che la vita ci sta dicendo che dobbiamo imparare a credere in noi stessi.
Se siamo compulsivi nel mangiare, nel bere, nello shopping, nella seduzione o nel sesso, di sicuro ci difetta l'autocontrollo. E siamo venuti al mondo per svilupparlo.

A quanto dicono i Maestri, anche a livello fisico incarniamo qualità animiche.
Chi ha un corpo morbido e, per le donne, tanto seno, si porta dietro qualità materne di accoglienza, di femminilità archetipa e magari deve sviluppare la combattività, deve imparare a dire di no più spesso.
Al contrario, chi viene al mondo con un fisico asciutto, atletico e, per le donne, il seno piccolo, è perché ha qualità di guerriero, sa essere indipendente e combattivo nelle cose in cui crede, ma magari gli difetta il sapersi dare, l'accoglienza, il cuore aperto ai bisogni delle persone care che ha attorno.

Solo voi potete capire cosa avete in potenziale dentro di voi. Solo osservandovi potete vederlo. E imparare ad usare quello che fino a ieri consideravate una mancanza come una leva per acquisire ciò che ancora non vi appartiene, ma che vi serve per completare la vostra essenza.

Potenziale da sviluppare, non mancanza!

giovedì 6 febbraio 2014

Meno parole

Viviamo in un mondo invaso dalle parole, il 99% delle quali superflue o del tutto inutili.
Siamo talmente abituati al brusio che molti di noi nel silenzio si sentono a disagio.
Spesso, quando siamo vicini ad altre persone, ci sentiamo quasi obbligati a rompere il silenzio dicendo qualcosa, di solito qualche banalità. Ci sembra che non parlare sia una forma di maleducazione.

Eppure, come si può pretendere di avere una mente silenziosa se non siamo capaci di togliere il superfluo nei dialoghi?

Pensate a quante parole diciamo in più del dovuto quando dialoghiamo con qualcuno.
Infatti; no, però; comunque; volevo dire…; ma se; sì, no… 
Quante volte si comincia una frase con Sì, no. Sì o No? O uno o l'altro!

Autoritratto dell'autrice
E poi, le ripetizioni. Ripetiamo un concetto come se temessimo che l'ascoltatore non capisse, ma forse siamo noi i primi a dover ribadire le cose per essere sicuri di crederci davvero!

E' un esercizio difficile, ma vale la pena di provare.
Tentare di togliere tutti i fronzoli.

Di solito: Cioè no, sai, oggi, mentre andavo dal panettiere, ho pensato che in fondo, a pensarci bene, tutto sommato…

Togliendo il brusio: Oggi mi è venuta in mente una cosa.

Pare semplice, sulla carta. Per imparare a farlo anche nel dialogo bisogna ascoltarsi, respirare, fare le giuste pause, e rimanere distaccati da ciò che si dice. Se ci facciamo coinvolgere da ciò che stiamo dicendo, quindi perdendo la presenza, è la fine.
Veniamo risucchiati nel vortice.

E, di solito, cosa accade dopo che abbiamo parlato a raffica rapiti dal vortice? Ci sentiamo un po' spossati e frastornati.
E magari ricordiamo solo una parte delle cose che abbiamo detto. 
Di solito le ripetizioni.

Parlare in presenza significa anche entrare in sintonia profonda con l'ascoltatore, che non verrà investito da un fiume di parole senza poter intervenire, rischiando di non capire che una piccola parte del discorso.

Inoltre, quando si dialoga in presenza non ci sono reazioni a fraintendimenti. Perché oltre le parole c'è l'attenzione e il cuore aperto. C'è sintonia.

martedì 4 febbraio 2014

L'abbraccio lungo

In questo mondo frenetico e sempre più superficiale, dove i rapporti sono spesso solo virtuali e le relazioni reali conflittuali, la capacità di abbracciarsi è venuta meno.

E' qualcosa che fa quasi paura, che tira fuori la nostra ritrosia, una forma di timidezza. 
Perché l'abbraccio sincero è qualcosa di intimo, un lasciarsi andare alla tenerezza, un esserci anche con il corpo.

Abbiamo imparato a dissociarci dal corpo crescendo, uscendo dall'infanzia, e le nostre nevrosi hanno creato delle barriere alla tenerezza di un gesto così semplice, così naturale.

Eppure, basta un abbraccio sincero lungo almeno 20 secondi per cambiare la qualità del nostro umore e della nostra giornata.

Autoritratto dell'autrice
E' stato dimostrato scientificamente che un abbraccio di questo tipo rilascia ossitocina, l'ormone della calma, della fiducia. E' l'ormone che viene rilasciato nel rapporto tra madri e figli, nelle coccole.

Stanno nascendo corsi un po' in tutto il mondo per reimparare ad abbracciarsi. 
Idea carina, ma mi chiedo se davvero abbiamo bisogno di un corso per compiere un gesto così naturale. 
Se non viene più spontaneo basta sforzarsi un po', cominciare a farlo con le persone che ci ispirano fiducia e profonda amicizia, con le persone che amiamo.

Sono sicura che con una pratica quotidiana avremmo il beneficio di stare meglio, di aprire il Cuore, e fare un salto di ottava per quanto riguarda le nostre vibrazioni sottili.