martedì 9 aprile 2013

Baubo, la magnifica Dea sporcacciona

C'è una versione del mito greco del rapimento di Persefone raccontata da Clarissa Pinkola Estés in Donne che corrono coi lupi, che racconta dell'intervento della piccola Dea a restituire il sorriso a Demetra.

Dea neolitica del parto - Foto dell'autrice
Demetra, prostrata dal rapimento della figlia da parte di Ade, esasperata dalla ricerca infruttuosa, si siede a riposare accanto a un pozzo, e vede arrivare una piccola creatura che danza in modo provocante.
E' una specie di donna il cui volto è una pancia con capezzoli al posto degli occhi e una vulva al posto della bocca.
Con quella bocca comincia a intrattenere Demetra con storielle piccanti.

Demetra cominciò a sorridere, scrive l'autrice, poi ridacchiò, poi esplose in una fragorosa risata. (...) 
E fu proprio questo riso che trasse Demetra dalla depressione e le diede l'energia necessaria per continuare la ricerca della figlia.

Quando Persefone fa ritorno, ecco che la terra e il ventre delle donne, che erano stati maledetti, riprendono a fiorire.

La piccola dea panciuta Baubo, continua l'autrice, ci offre l'interessante idea che un po' di oscenità aiuta a vincere la depressione. (...)
Le storielle "sporche" possono far svanire la collera, lasciando la donna più contenta di prima. Provate e vedrete.

Ma perché Baubo ha quegli occhi e quella bocca?
Secondo la Pinkola Estés, vedere con i capezzoli è una metafora sensoriale. 
I capezzoli sono organi psichici, che reagiscono alle emozioni e alla temperatura.
E il parlare con la vagina simboleggia il parlare con la prima materia, ovvero il più profondo e istintivo livello di sincerità, di verità.

Le origini di Baubo si perdono nel tempo. 
Prima era la dea neolitica della nascita e rigenerazione associata alla rana e al rospo, poi è la sumera Bau, dea della medicina, della salute e della fecondità.
Nelle raffigurazioni, Baubo è la dea che mostra la vulva, a volte sollevando la veste secondo un rito che probabilmente risale al neolitico, scrive l'archeologa Marija Gimbutas nel libro Le dee viventi (Medusa ed.). 
Un rito noto anche nell'antico Egitto.

Sheela na gig - Foto dell'autrice
Ma se pensate che questa divinità sia troppo pagana e sporcacciona per essere ammessa dal cristianesimo siete fuori strada: c'è un'immagine ricorrente scolpita nelle chiese medievali d'Irlanda e Inghilterra, e pure Galles e Francia.
E' Sheela na gig, l'impudica.
Ha occhi e bocca di rana e con le mani tiene spalancate le labbra della sua enorme vulva.
La sua derivazione diretta con la dea rana o rospo è evidente, e il fatto che sia spesso scolpita sulle arcate di ingresso delle chiese ha una valenza altamente simbolica e potente: il tempio è il ventre della Dea, luogo di culto sì, ma anche di rigenerazione.

La Gimbutas fa spesso notare come gli attributi sessuali della Dea anticamente non avessero nulla di pornografico e morboso, e nemmeno dissacratorio.
Tutta la vita nasce da una vulva. 
Come può un organo così fondamentale non essere sacro?

Solo popoli che temono profondamente il potere e la sacralità femminile potevano inventare religioni che considerano il sesso peccaminoso e sporco.

Riprendiamoci il meraviglioso potere di ridere, danzare, fare l'amore in modo gioioso come Baubo!



1 commento:

  1. Mi piace il tuo estro ...
    Tutto è sacro ...
    lo afferma un
    https://iosonoiltuose.wordpress.com/maestro/
    <3

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